
– Mi sapete dire, per favore, chi sta scrivendo il libro sulle amenità messinesi? Silenzio. Bocche cucite, soprattutto nell’Università: «Si dice il peccato, ma non il peccatore».
– Chiunque sia, gli invio, ad ogni modo, queste poche “stranezze” che ho trovato, casualmente, allineate, nella memoria del mio computer: ne faccia l’uso che crede; a me basta – e avanza – dare un contributo alla conoscenza e quindi al miglioramento dell’Università, convinto – come sono – che la stessa potrà ancora primeggiare nell’antica strada della ricerca scientifica, della trasparenza e del merito, quando avrà censito e condannato ogni forma di privilegio politico-baronale del passato (anche recente). Ecco le “stranezze”.
1) L’Università ha sempre onorato i suoi campioni in vita e soprattutto in morte, ma di recente è passata sotto silenzio una stranezza davvero clamorosa: a) muore un filologo illustre, che ha operato per decenni egregiamente nella città illustrando la sua Università e la Filologia in all over the world, con edizioni critiche di testi eccezionali pubblicate in prestigiose collane tedesche (!), ma non gli si dedica nemmeno un “coccodrillo” sul quotidiano locale; b) muore, qualche anno dopo, un accademico coevo, conosciuto, in Italia, più come plenipotenziario gestore di concorsi universitari che come studioso attendibile, ma se ne celebrano per mesi e mesi, in pubblici convegni, in giornali quotidiani, in riviste specialistiche e in volumi, i meriti “scientifici”.
2) Un professore universitario stima e considera amico un giovane studioso, apprezzato in mezzo mondo per i suoi validi contributi scientifici, ma misconosciuto dal sistema accademico locale e costretto a insegnare, peraltro egregiamente, nei licei. Il professore universitario prende, invero, le parti del suo amico in ogni occasione pubblica e privata, cooptandolo in diverse attività culturali: si è addirittura recato, qualche anno fa, nella scuola dove l’amico (non facilmente raggiungibile) insegna, per regalargli un suo libro appena pubblicato, libro che ha affidato al preside – assente, quel giorno, l’amico – insieme con qualche altra copia per il preside e per la biblioteca d’Istituto.
Qualcuno, savio di mente, dubiterebbe mai dell’amicizia di questo atipico e generoso (forsanche ingenuo) docente universitario che non solo ha fatto sempre del bene al professore di Liceo (ritenendolo amico), ma gli ha offerto, per giunta, di recente, una seconda copia dello stesso volume, non ricordandosi che glielo aveva già regalato e che non era stato mai ringraziato per la prima copia?
Ebbene, a Messina, tra le altre stranezze, succede anche questa: che l’amico presunto, forse regredito in qualcuna delle rancorose camarille locali, ha invelenito, improvvisamente, incredibile dictu, contro l’amico ingenuo, il quale contestava (poverino!), da par suo, una tipica vicenda di malcostume cittadino e che si sarebbe casomai aspettato un leale sostegno da lui.
3) Michele Serra, a conclusione delle recenti elezioni europee, evidenzia, su «La Repubblica» del 12 giugno 2024, una «macro differenza», esistente in Italia, tra gli abitanti “di città” e quelli che vivono in “provincia” (l’80% della popolazione): la “piccola Italia” provinciale è, in altri termini, numericamente prevalente rispetto a quella delle venticinque grandi città d’Italia (ognuna delle quali conta più di 150mila abitanti), «dove hanno sede giornali, televisioni, partiti politici, centri studi, università».
Il giornalista-scrittore constata peraltro, sulla base delle percentuali di voto, che i giovani e la maggioranza dei votanti delle grandi città hanno optato per la sinistra, laddove i giovani e la maggioranza dei votanti della “piccola Italia” hanno scelto la destra: lo stesso fenomeno si è verificato in Francia e in Germania e si verificherà probabilmente in America nelle prossime elezioni politiche.
Michele Serra conclude, quindi, affermando che la popolazione delle grandi città è prevalentemente «progressista», mentre quella della “piccola Italia”, cioè della provincia, è conservatrice e/o reazionaria: vive il cambiamento «come caos, come confusione stordente e nociva, come inversione di una normalità rassicurante, come sovversione di tradizioni solide […]»; da qui, da queste paure deve partire, a suo giudizio, la sinistra e cercare di «coinvolgere», con programmi concreti, «i quattro italiani su cinque che non abitano nelle grandi città», se vuole – un giorno non chimerico – governare.
E il discorso non fa una grinza. Ma c’è una cosa che non torna: Messina dovrebbe essere «progressista», giacché rientra, a pieno titolo, nelle venticinque grandi città d’Italia (ha 217mila abitanti), ma il primo partito della sinistra è quarto (12,6%), nella città dello Stretto, dopo Libertà di Cateno De Luca (21,71%), Forza Italia-Noi Moderati-PPE (20,42%), Fratelli d’Italia (18,15%). Quanto dire che Messina, per numero di abitanti, è una delle venticinque grandi città d’Italia, ma per orientamento politico è una città provinciale, cioè di destra: una provincia chiaramente attardata sul piano culturale, politico ed economico (i tre piani sono interconnessi), come i suoi cittadini più avveduti vanno ripetendo da decenni, nel tentativo di destarla dal suo lungo sonno e contribuire al suo cambiamento.
Purtroppo, i messinesi che amano la loro città e lottano come possono per il cambiamento sono una sparuta minoranza: prevalgono, da queste parti, gli indifferenti e gli intellettuali conformisti che, incuranti delle sorti della città, godono dei privilegi loro concessi dall’arretratezza politica e culturale imperante e ci guazzano dentro.
4) Il compito primo degli intellettuali liberi e democratici, a partire quantomeno dalla Rivoluzione Francese del 1789, è – senza meno – quello di contestare ogni forma di corruzione delle classi dominanti e informare i cittadini.
Certo, in ogni parte del mondo, per lottare efficacemente contro il degrado politico e sociale, non si può non denunciare – nei modi corretti della più avanzata prassi civile e democratica – la sottocultura, la corruzione, l’arretratezza e chi ne è responsabile.
Ma a Messina, si assiste a una colossale stranezza: chi – magari mite e nient’affatto litigioso – contesta un difetto obiettivo del suo ambiente, a fin di bene, con intenti palesemente costruttivi, diventa ipso facto «uno che parla sempre male» del Sindaco, dell’Università, degli altri (?), un parolaio, insomma, se non un nemico della democrazia, della cultura e dell’Università; laddove prosperano, nella città dello Stretto, camarille (universitarie e non solo) che premiano, con plateali posti di sottogoverno o sotto…cultura, i loro complici più o meno occulti, disposti a servire e a tacere.
E ciò, a conferma – se ce ne fosse bisogno – del fatto che Messina è, per numero di abitanti, una grande città, peraltro dotata di bellezze artistiche e naturali ineguagliabili, ma appare viepiù attardata, come una remotissima provincia, sotto il profilo politico e culturale.
La sfilza delle «stranezze» di questa amatissima città, è invero molto lunga e qualcuno già ne appronta una dettagliata (e amara) raccolta: la più clamorosa è quella della mancanza (lamentata dai giovani) di posti di lavoro e, per converso, della mancanza di lavoratori (lamentata dagli imprenditori); per non dire delle case nuove che cresce più di quanto non avvenga in altre parti (anche più evolute) del Paese e del numero di abitanti (soprattutto giovani) che diminuisce più che altrove nel mondo industrializzato: atroci paradossi, invero, cui solo un’effettiva – indifferibile – rinascita politica e culturale, può porre rimedio, in questa bellissima e sfortunatissima città.