Un poeta non è extraterrestre, come alcuni credono e altri deprecano, ma un uomo del suo tempo e del suo milieu che esprime in versi, cioè con un ritmo (perlopiù innato), in sintesi, e con un linguaggio suo (conquistato attraverso la lettura di infiniti scrittori e poeti), pensieri e sentimenti che tutti i mortali pensano e sentono, pur non essendo tutti poeti (col permesso di Don Benedetto).

Ora, Giuseppe Josè Russotti è un poeta – ho scommesso tutta la mia dignità di critico non asservito ad alcun potere, per sostenerlo, anche in una rivista di respiro europeo – che si è costruito un suo lessico, in bilico tra realismo e simbolismo, da un lato, e tra lingua e dialetto, dall’altro, modellandolo su ritmi nuovi, personali, inediti e inequivocabili.

Dunque, non sorprende il suo dittico (Orfano due volte e Lamento per Francesco Bergoglio, papa) sulla morte di Papa Francesco, argentino di nascita, ma erede di emigranti liguri e piemontesi: anche Josè è figlio di emigranti (messinesi di Malvagna), nato e vissuto fino a sette anni in un sobborgo di Bueonos Aires, prima di tornare, col padre e la madre, a Malvagna: bilinque Francesco, bilinque (o trilingue) Josè.

In ambedue le poesie suddette, Russotti non si perita di associare la sua vicenda umana e linguistica a quella del Papa, che sente Padre, assimilabile a quello naturale, perso all’età di undici anni («Padre, ti ho amato / come un figlio argentino. / In te ho trovato la carezza perduta, il tango della quiete, / l’eco di una nenia materna», Lamento per Bergoglio…), e quindi perduto due volte: lo stesso dolore per la perdita del padre mavvagnotu

e per la perdita del padre agrigentino; lo steso scoramento («Mi resta / il disorientamento / di chi cammina senza stella», in Orfano due volte); la stessa ammirazione per l’afflato sociale di Francesco (“Amico dei poveri /

rivoluzionario / di carezze e di coraggio”, in Orfano due volte; “Ti ho seguito in silenzio, / quando posavi lo sguardo / su piedi scalzi, / mani spezzate, / occhi dimenticati. / Vedevi chi non conta, / chi il mondo scarta”, in Lamento per Francesco.

Il ritmo è più franto, sincopato, quasi singhiozzante, come ognun vede, in Orfano due volte; più ampio, discorsivo, quasi innodico in Lamento per Francesco …. In ambedue i componimenti, il lessico è realistico, familiare, appena increspato da felici velature simboliche (“nella bara rossa / velata di preghiera”; “col cuore spoglio”; “il tango della quiete”), così come è ampiamente profusa, nell’uno e nell’altro, la forza rigenerante della poesia.

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