Già negli anni Ottanta del secolo scorso, Giuseppe Petronio rilevava la crisi della critica letteraria e del relativo mercato librario, denunciando l’involuzione dello Strutturalismo (che, con la pretesa scientistica, adottava una scrittura astrusa fino ai limiti della gergalità assoluta), propugnando, come antidoto, il ritorno alla leggibilità d’antan.
La situazione non è cambiata nei nostri giorni, anzi pare essersi viepiù incancrenita. Sono difatti lontanissimi i tempi in cui noi studenti universitari compravamo e leggevamo, negli anni Sessanta-Settanta, i saggi di Petronio, di Binni e di Fubini come fossero romanzi: oggi, i saggi critici se li legge chi li scrive o, al massimo, i quattro gatti degli addetti ai lavori. Non mi pare, invero, che le opere scientifiche di studiosi di letteratura, accademici e no, siano entrati, in questi ultimi decenni, nella lista dei libri più venduti.
È successo peraltro che, restando sempre la leggibilità un sogno di pochi, in Italia si legge sempre meno, mentre la carta stampata (giornalistica, saggistica, narrativa ecc.) viene progressivamente soppiantata da e-book, Internet ecc. È cambiata, in altri termini, l’Economia – e, con essa, il mondo intero – , alterando profondamente anche le logiche editoriali che conoscevamo.
Da critico – mi si conceda – non superfluo e da professore ordinario, dotato di un forte istinto pedagogico, sapevo, per esperienza diretta, che un critico-professore scrive e pubblica, senza scopo di lucro (per «fare i soldi» – diceva, ridendo, Petronio – «bisogna scrivere un manuale innovativo o un romanzo popolare»), un libro di saggi, col consenso dell’editore, che crede in quel libro, investe su di esso, lo pubblicizza e lo fornisce alle librerie, le quali lo vendono, pagando una percentuale risibile del prezzo di copertina all’autore.
Senonché ho appreso, da ultimo, che oggi a) il critico-professore scrive un libro ecc.; b) l’editore lo pubblica, ma richiede all’autore-critico-professore (non gratificato dal consenso di qualche potentato politico-accademico) un contributo di stampa, che corrisponde al numero delle copie del libro che l’editore, di fatto, vende (!) all’autore (cose da pazzi!), il quale poi, se vuole, lo rivende diventando automaticamente un ri-venditore di libri; c) il libraio, se riceve da qualcuno la richiesta di acquisto di un libro (che nessuno pubblicizza più), ne fa, a sua volta, richiesta al DISTRIBUTORE (?!!), che lo chiede all’Editore e lo manda al libraio che lo vende (cose da arci, catà, stra-pazzi!).
Per farla breve, la crisi della critica, della carta stampata e dell’editoria scientifica grava tutta sulle spalle (e le tasche) del povero studioso, autore di saggi critici, il quale magari mira alla leggibilità, pur senza rifiutare, in astratto, le poche conquiste oggettive – che ci sono – della critica contemporanea.
Il che, se è così e se ho capito bene, è veramente incredibile. La cosa più logica sarebbe, a questo punto, che un editore stampasse (e consigliasse all’autore di pubblicare), in prima istanza, non più di cento copie di un libro di saggi, o meglio che i critici letterari si mettessero l’anima in pace e non pubblicassero più i loro saggi, en attendant tempi migliori.
Tuttavia, obtorto collo, per ora mi adeguo. E, dopo aver ricevuto dall’editore xyz copie del mio «librone», che – dice lui – posso vendere «perché l’IVA è già stata pagata», non mi stanco di pubblicizzarlo e non mi sottraggo alle richieste di acquisto. Chi vuole, può dunque chiedere, al mio indirizzo di posta elettronica o al mio telefono cellulare, le copie che desidera: le avrà con un forte sconto.
Intanto, ripresento il «librone», che è – diciamolo – un gran, bel libro, forse troppo generoso, anche ambizioso ma non presuntuoso, certamente innovativo e utile ai messinesi e ai siciliani che non si vogliono rassegnare al peggio, nonché agli italiani, amanti della cultura, e soprattutto a chi vive nel mondo della Scuola e dell’Università.