La messinese Jolanda Insana (Messina 1937 – Roma 2016), la cui famiglia proveniva dal comune peloritano di Monforte San Giorgio, ha esaltato, nelle sue poesie dure, carnali, mescidate di lingua e dialetto, aspetti clamorosi della condizione umana, dominante nell’Italia repubblicana, e la messinesità in tutte le sue accezioni (positive e negative).
Dopo la laurea in Lettere Classiche, conseguita presso l’Università di Messina, la Insana si trasferì, nel 1968, a Roma dove visse esercitando la professione di insegnante di lettere nei Licei classici, coltivando la poesia (è del 1977 la sua prima raccolta, Sciarra amara, pubblicata da Guanda e recensita molto positivamente da Giovanni Raboni), vincendo il Premio Viareggio, nel 2002, con la raccolta intitolata La stortura, traducendo in italiano autori classici (greci e latini), nonché scrittori stranieri come Aleksandr Tvardovskij, curando, nel 2007, la pubblicazione di Tutte le poesie 1977-2006, presso Garzanti (a cui si aggiunsero Satura di cartuscelle nel 2008, Turbativa d’incanto nel 2012 e Cronologia delle lesioni, postuma, nel 2017), intervenendo anche nella celebrazione del centenario del terremoto del 1908, con Frammenti di un oratorio per il centenario del terremoto di Messina, nel 2009.
Tuttavia, per uno dei paradossi (apparenti) della storia, Jolanda Insana rimane praticamente sconosciuta a Messina, dove non si ricorda, a memoria d’uomo, un convegno sulla sua poesia o sulla sua attività di traduttrice: forse, il vento della mentalità piccolo borghese, dominante – a lungo – nella città dello Stretto, ha spinto altrove l’alto, poetico messaggio antiborghese e l’effettiva rivoluzione culturale e linguistica da lei operata con la sua opera.
La poetessa resta, per converso, insieme con Maria Costa, l’emblema del rinnovamento che si si cerca di perseguire nella città dello Stretto, fidando nell’apporto di associazioni, enti, centri culturali, anche universitari, ma senza chiudersi nei recinti paludati dell’Accademia.
Certo, una strada o una scuola a lei intestata sarebbe poco per onorarla; forse, nemmeno un monumento, in una delle piazze più ampie della città, basterebbe a ricordarne il genio.
Per la necessaria documentazione, ma anche provocatoriamente, pubblichiamo una poesia di Iolanda Insana, Pupara sono, che apre Sciarra amara e che fu musicata dal maestro Claudio Ambrosini nel 2013.
Pupara sono
pupara sono
e faccio teatrino con due soli pupi
lei e lei
lei si chiama vita
e lei si chiama morte
la prima lei percosìdire ha i coglioni
la seconda è una fessicella
e quando avviene che compenetrazione succede
la vita muore addirittura di piacere.
Troia d’una porca
tutta incrugnata sulla vita
venni per accattare vita
come m’ha fottuto
il banditore
finta che non mi vede
bastò un rovescio di mano
e addio pane e piacere
lo stretto necessario
per campare
per non dare sazio a quella rompina
rompigliona rompiculo d’una morte
la vita se ne va
con gli occhi aperti
faccia di sticchio zuccherato
non aspettarti gioie
da minchia passoluta
non finiremo mai di fare
sciarra amara
nessun compare ci metterà
la buona parola
tu stuti le candele
che io allumo
padella non tinge padella
ma la mia è forata
e cola vita
la vita ha profumo di vita
così dolce
che scolla i santi
dalla croce
scippa fracassa
scafazza e scrocchia
torna e vuole conto
e ragione
la morte
come le santocchie
ama dio e fotte il prossimo
la vita e la morte allato vanno
transeunti per lo stesso porticato
comincia dolcechiaro finisce amaroscuro
quanto io ho levati
non mi fare il solletico
vita bella e affatturata
non avea catene al collo
né debito di coscienza
dopo la sua porcapedàta
non sa più spendersi
con chi le pare e piace.