Mi bastano – e avanzano – gli apprezzamenti della mia «innovativa» attività di ricerca da parte dei colleghi competenti e gli elogi (degli studenti) per la mia «indimenticabile» attività didattica. Ma un primato di cui avrei fatto volentieri a meno devo rivendicare, oggi, dopo aver letto i giornali che ragguagliano sull’ennesimo scandalo dell’Università: «È una macchia d’olio destinata a imbrattare i più prestigiosi atenei d’Italia – scrive Natale Bruno su “la Repubblica” di domenica 3° giugno 2019 – l’inchiesta che ha scoperchiato un sistema definito “paramafioso” per la costruzione su misura di concorsi con epicentro a Catania».
Purtroppo, in Sicilia e quantomeno a Messina, spetta a me l’amara “paternità” dell’aggettivo «paramafiso» riferito al sistema di gestione di gran parte dei concorsi universitari e al comportamento abituale dei baroni e dei baronelli – altro termine da me usato (in senso diverso da quello verghiano) –, loro successori dopo la riforma Berlinguer. Certo, mi è capitato più volte – per chissà quale congiunzione astrale o intreccio cromosomico o curvatura psicologica o caratura morale o inclinazione politica – di levare la mia inerme (e inascoltata) voce contro le enormi ingiustizie perpetrate dai baroni universitari in Italia, all’insegna del «così fan tutti»: io stesso sono stato testimone-vittima di qualcuna di queste ingiustizie e ho avuto modo di “apprezzare” gli atteggiamenti rancorosi e vendicativi (paramafiosi!) di certi baronelli, ma (diciamolo) quante intelligenze e competenze mortificate e quanti mediocri – figli, servi, o amanti di baroni – sopravvalutati.
I miei amici di FB sanno di cosa parlo. Ma sono pronto a offrire tutta la documentazione del caso a chi dovesse richiedermela. Ad ogni modo, i miei post e il mio blog (www.giusepperando.it) sono «un libro aperto».
Nessuno, peraltro, è più di me dispiaciuto per il perpetuarsi di questo orrendo stato di cose nella struttura che dovrebbe essere il centro propulsivo della cultura (e quindi della morale) nella nazione e che grande lustro ha certamente acquisito – e talora acquisisce tuttavia – sul terreno scientifico e didattico: chi ha dedicato all’Università tutto il suo impegno e tutte le sue energie intellettuali nella speranza di contribuire allo sviluppo reale della società, alla crescita dei giovani e al loro proficuo inserimento nel mondo del lavoro non può non patire a fronte di tanto degrado. Ma non ci rassegneremo.