Dalle mie compagne e dai miei compagni del Liceo, felicemente riuniti – dopo più mezzo secolo – in una chat, ricevo cordiali complimenti per la mia partecipazione al convegno dell’Accademia Peloritana del 20 settembre u.s. sui “Maestri all’Università di Messina”: di ciò erano stati informati amichevolmente dal nostro compagno Francesco Trimarchi.

Contravvenendo, quindi, alla mia discrezione – che non è reticenza – mi pare opportuno sintetizzare, per brevi tratti, la mia relazione su “Antonio Mazzarino: il filologo italiano e il poeta latino”, per dovere di informazione nei riguardi dei suddetti compagni e compagne del “Maurolico” d’antan.

Ho dapprima precisato, in quel riuscitissimo convegno, che Mazzarino non è stato mio maestro istituzionale o almeno non più maestro dei molti maestri “cartacei”, continentali, che hanno contribuito alla mia crescita umana e professionale. Tra l’altro, quand’egli incominciò ad occuparsi di Filologia Italiana, io ero già professore associato e avevo già pubblicato il primo dei miei «innovativi» libri alfieriani.

Ho poi evidenziato il carattere atipico, divergente di Mazzarino Preside e fondatore della Facoltà di Magistero dal 1965 al 1998, ricordando – da testimone mai coinvolto in camarille accademiche – che aveva una spiccata, forse risarcitoria, attitudine al gioco, allo scherzo goliardico, alla battuta ironica, ai calembour più divertenti o graffianti: nel corso delle lunghe tavolate a Ganzirri, capitava che Gianvito Resta diventasse, latinamente, Gianvito Manet (pronunciato Mané alla francese) e un avversario o un «traditore» venisse declassato a «messere», mentre Paladino si scindeva e invertiva in «Dino Pala» e Morace si trasformava in «Vorace».

Ho quindi rilevato che tale, spontanea, naturale, vena ludica trovò il suo più diretto canale espressivo nei paignia, componimenti lirici, epigrammatici, satirici in lingua (e metrica) latina, che Mazzarino stesso raccolse nella sapida raccolta, pubblicata a Roma nel 1991, Scherzi di Antonio Mazzarino, bilingue, dacché di ogni componimento latino si può leggere, a fronte, la versione in dialetto romanesco, fatta dal suo collega (parlamentare, ma del PCI), nonché poeta dialettale Antonello Trombadori. E se è vero – ho aggiunto – che la penna satirica degli Scherzi talvolta graffia, è pure vero che a muoverla è il «rigorismo morale» (come dice Minissi), non accademico né parteggiatore né tampoco egotistico dell’autore. Poeta latino atipico, comunque.

Ho fatto anche un rapido riferimento alla traduzione in latino dell’Infinito di Leopardi, in cui Mazzarino si rivela più coautore che traduttore del famoso idillio.

Ho dedicato qualche minuto in più agli scritti superlativi del filologo italiano sul Basilico di Lisabetta da Messina di Boccaccio, sul Cinque Maggio di Manzoni, sui «seggioloni di casa Trao» del Mastro don Gesualdo di Verga, sottolineando la maestria filologica e la sagacia critica di Mazzarino: l’acutezza, in ispecie, dei suoi scavi testuali, il rigore critico, la correttezza metodologica, la limpidezza argomentativa, la tecnica sospensiva dell’indagine, la novità assoluta – sul piano euristico – dei suoi contributi, giammai mimetici o ripetitivi o solo ampliativi di altri preesistenti.

Ho sostenuto, pertanto, che quelli di Mazzarino sono non solo esemplari testi di filologia italiana ma anche veri e propri saggi di critica globale, in cui l’autore ritesse, contro ogni limitazione positivistica, contro le astrazioni della critica crociana, contro ogni forma di impressionismo e/o ideologismo, i nessi tra letteratura e scienze umane: non è poco, invero, né di poco conto. Filologo italiano atipico, senza meno.

Ho infine osservato come anche il liberale Antonio Mazzarino, deputato del PLI in tre successive legislature, fu assolutamente atipico (come il preside Mazzarino, come il poeta Mazzarino e come il filologo Mazzarino), a tal punto che, senza farsi fuorviare da preconcetti ideologici, chiamò a insegnare nella Facoltà di Magistero dell’Università degli Studi di Messina, fior di studiosi di tutte le discipline, anche comunisti: da Vuolo, a Romeo, a Villari, ad Alatri, ad Ambrogio, a Sveteremich, a Spaziani, a Ricci, a Merker. Sicché la Facoltà stessa, negli anni Sessanta-Ottanta, fu una fucina di alta cultura: vera sede di eccellenza universitaria.

Ho chiuso proponendo Mazzarino come modello – inattuale quanto si voglia – alle nuove generazioni. Egli mostra, invero, con la sua vita e con la sua intensa attività didattica e scientifica, come studiosi liberi, indipendenti, non conformisti, divergenti, atipici siano in grado di svolgere una vera attività di ricerca e di portare nuovi, originali contributi alla scienza e alla conoscenza; laddove capita che molti altri, meno atipici, ripetano il già detto, magari con altre, più o meno alate, parole, tuttavia plagiando spudoratamente.

 

 

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