Alessandro Baricco, uno degli scrittori più accreditati del nostro tempo, noto al grosso pubblico per il film di Giuseppe Tornatore, La leggenda del pianista sull’oceano (1998), tratto dalla sua pièce teatrale, Novecento, e autore di un saggio recente sulla rivoluzione digitale, The game, intervenendo sulla «Repubblica» dell’undici gennaio u.s., si è dato una spiegazione “da romanziere” della crisi delle élites e del trionfo del populismo e/o del sovranismo dilagante in Italia e non solo.
Intanto, ha considerato «le élites» e «la gente» come due entità definite, compatte e antitetiche cioè come le personalità contrapposte di due personaggi («il cattivo» e «il buono», rispettivamente). Quindi, da romanziere (che non può non mirare, secondo un preciso statuto del «canone occidentale», alla rappresentazione oggettiva della realtà anche oppositiva), si è messo nei panni di ognuno dei due “personaggi” – è regredito, se si vuole, al livello mentale, linguistico ecc. di ognuno dei due – e ha dato voce alle loro divergenti psicologie-ideologie, credendo di offrire il più concreto strumento conoscitivo del fenomeno e collocandosi, però, di fatto, in alto, come un dio, al di fuori della mischia.
Senonché il criterio è sbagliato, per il solo fatto che non esistono in Italia e nel mondo «élites» del tutto omogenee e ugualmente responsabili, così come non c’è, in Italia e nel mondo, «la gente», ma settori particolari della popolazione, che entrano, a vario titolo, nell’arengo delle elezioni e della normale dialettica politica. Quando dire che «la gente» e « le élites» non sono due personaggi del racconto (o del dramma) odierno, ma due mere astrazioni, avulse, per giunta, dalla concretezza della realtà.
La quale vuole che si distingua tra élites politiche, élites culturali, élites artistiche, élites religiose, élites sportive e così via selezionando. E, in subordine, tra élites meritocratiche ed élites parassitarie, familistiche, malavitose (al limite).
Così come non è «la gente» unita e compatta che ha contestato il PD, LEU e Forza Italia, nelle ultime elezioni politiche, ma – accanto a gruppi di persone libere e responsabili, legittimamente deluse dai governi di centrosinistra – folte schiere di ventenni e trentenni, affascinati, per inesperienza, dalle sirene pentastellate della vita facile, nonché quarantenni cresciuti dentro le maglie larghe del boom economico conquistato dai padri sessantenni-settantenni (che hanno, invece, alle spalle una vita di sacrifici, d’impegno, di lotte democratiche) e pronti a riconoscere un sostituto del padre nel primo demagogo che inalbera la bandiera dell’assistenzialismo statale (a cui baciano addirittura la mano), e poi le masse sterminate dei qualunquisti, soprattutto meridionali, pronti a saltare (per antico servaggio) sul carro del presumibile vincitore, e le masse minoritarie di certi intellettuali dell’ultrasinistra (o della «sinistra alle vongole») che sognano in astratto «il sol dell’avvenire» e fanno, in concreto, il gioco dell’ultradestra, come sempre.
Definibili (e difendibili) in blocco tutti questi gruppi sociali? Menomamente valide le loro ragioni? Decisamente, no.