G R E C O V I V O
Questo mio intervento in un glorioso Liceo Scientifico di Messina vuole anche essere anche un contributo al superamento della improvvida teoria delle due culture (la cultura scientifica e la cultura umanistica), che Gentile e Croce consideravano antitetiche, e che oggi, superati gli estremismi sessantotteschi di Ennio Flaiano (a favore del Classicismo) e di Michel Foucault (a favore della Scienza), si evidenziano come facce complementari di un’unica cultura: è d’obbligo, in tal senso, il rinvio ai saggi di Nuccio ORDINE (L’utilità dell’inutile), di Nicola GARDINI (Viva il latino. Storia e bellezza di una lingua inutile) e di Ivano DIONIGI (Il presente non basta), nonché agli interventi giornalistici di Carlo Rovelli su «La Repubblica», 9 luglio 2014, e di Massimo Gramellini, su «La Stampa», 30 agosto 2016. La cultura scientifica non esclude, insomma, la cultura umanistica, né questa quella, come ancora qualcuno crede, ma esiste una sola cultura nella quale convivono agevolmente la cultura scientifica e la cultura umanistica. Ma procediamo con ordine.
Il greco antico , sotto il profilo strettamente linguistico, si potrebbe considerare una lingua morta, dacché non ha più locutori nativi che lo usino nella comunicazione, laddove il greco moderno ne costituisce l’evoluzione storica, notevolmente cambiata peraltro (sul piano degli accenti, della declinazione semplificata – è scomparso il dativo-, e nella pronuncia), nonostante che la struttura sia rimasta immutata rispetto al greco antico parlato o scritto tra il decimo secolo a. C. e il sesto secolo d. C.
Ma è pure vero che il greco antico, al pari del latino – la seconda delle due cosiddette lingue classiche –, continua a esercitare una notevole funzione comunicativa e conoscitiva nel mondo contemporaneo, essendo riutilizzato, sul piano lessicale, con vari adattamenti, in ambito medico, scientifico, legale, storico, geografico nonché stilistico-retorico, e consentendo soprattutto l’accesso ai testi sublimi della filosofia e della letteratura greca, su cui si fonda la cultura occidentale.
Talché, con giusta ragione, c’è chi pensa che sia improprio definire morte le lingue classiche.
Per semplificare una problematica tanto vasta e complessa, dividerò, per voi, il mio intervento in tre sezioni: nella prima, riassumerò quello che si sa, sul piano propriamente lessicale, a proposito della presenza del greco nella lingua italiana, come è ampiamente codificato in Enciclopedie varie e in tutte le grammatiche storiche o normative o anche “del testo” (M. L. Altieri Biagi, M. Corti) della lingua italiana; nella seconda, cercherò di evidenziare la vitalità perenne del greco in ambito letterario, leggendovi segnatamente alcune liriche di Saffo e parti della tragedia Edipo re di Sofocle; nella terza, cercherò di indicare, in sintesi e con la massima chiarezza possibile, l’incidenza, tuttora operativa, della cultura e della filosofia greca nella cultura e nella filosofia occidentale. Vediamo.
A) L’aspetto linguistico della questione è quello più oggettivo, accertato e incontrovertibile, risolvendosi nel capitolo dei grecismi, cioè delle parole e dei costrutti di origine greca introdotti nella lingua italiana, attraverso i secoli: sarebbero, secondo Luca Lorenzetti, addirittura 8.355, di cui 13 lessemi (parole) sono rimasti invariati.
Si tratta, andando per sommi capi, di nomi usati nel linguaggio quotidiano e domestico per designare oggetti di uso comune (ampolla, borsa, canestro ecc.), o nel mondo marinaresco (balena, delfino, cefalo ecc.), o nel mondo scientifico (aritmetica, geometria, geografia) o in ambito filosofico (filosofia, dialettica), o sul terreno letterario (retorica), rinvenibili soprattutto nel vocabolario. Più rari sono i casi di costrutti italiani derivati dal greco, che investono la sintassi, come l’accusativo alla greca, «nuda il ginocchio» (in latino, «nuda genu» di Eneide, I, 320), che passa attraverso l’intermediazione del latino.
Più numerosi sono i casi di grecismi rinvenibili nelle terminologie specialistiche della scienza e della tecnica. Infatti, Tullio De Mauro, nel Grande dizionario della lingua d’uso, raccoglie 8000 grecismi (soprattutto termini tecnico-scientifici) tra i 250.000 lemmi complessivi censiti, in questo che può essere considerato il più aggiornato dei dizionari italiani.
È appena il caso di segnalare che la maggior parte di tali grecismi scientifici accompagna da vicino le grandi svolte politico-culturali dell’era moderna, crescendo, in ispecie, a ridosso della prima Rivoluzione industriale del Settecento e quindi nelle successive fasi dello sviluppo tecnico e scientifico dell’Ottocento e del Novecento, fino agli ultimi sviluppi dell’Informatica nel Terzo Millennio.
Il più documentato repertorio di grecismi, rinvenibili in lessemi scientifici (perlopiù composti) dell’italiano, si trova nella Grammatica Italiana di Luca Serianni (Torino, UTET, 1988, pp. 560-562, poi confluita nella garzantina omonima, nonché nella Grammatica Italiana e nell’Enciclopedia dell’Italiano della Treccani.
Da qui, mi limiterò a segnalarvi: a) i termini composti col suffissoide –logo (da archeologo, ematologo, sismologo, agli scherzosi dietrologo, tuttologo, e agli effimeri giocologo, giovanologo; b) i termini composti con suffissoide –crazia (democrazia, partitocrazia), -fagia (antropofagia, aerofagia), -fobia (agorafobia, claustrofobia), -grafia (ortografia, dattilografia), -logia (filologia, dietrologia, sociologia, zoologia), -mania (megalomania, monomania). –metria (planimetria, geometria, stechiometria), -patia (cardiopatia, vasculopatia), -scopia (microscopia, radioscopia); c) i termini composti con prefissoide auto- (autografia, autobiografia, autofinanziamento), filo- (filantropo, filofrancese), idro- (idrolisi, idrorepellente), lito- ((litofita, litoincisione), miso- (misogino, misantropo, misostorico, in Croce), mono- (monoteismo, monocamera), piro- (pirofilo, piroscissione).
B) Greco vivo, sul piano lessicale dunque. Ma vivo soprattutto – non si finirà mai di sottolinearlo – sul piano culturale e letterario in ispecie. Basti pensare che i testi dei grandi poeti lirici (Saffo, Alceo, Erinna, Anacreonte, Alcmane, Stesicoro, Ibico, Simonide di Ceo, Mimnermo, Archiloco, Teognide, Praxilla, Licofronide, Jone di Ceo, Licinnio, Malanippide, Ibria) sono ancora fruiti dai lettori di tutto il mondo, soprattutto nella egregia traduzione in italiano moderno di Salvatore Quasimodo, e che le tragedie dei grandi tragici del V secolo a. C. (Eschilo, Sofocle, Euripide) continuano ad affascinare gli spettatori di tutto il mondo. I lirici e i tragici greci hanno, invero, messo a nudo, per la prima volta nella storia, la bellezza, la complessità e la tragica finitudine della vita. In altri termini, hanno detto, per la prima volta nella cultura occidentale, l’indicibile («dire l’indicibile» è oggi considerato uno degli scopi della letteratura), aprendo la via alla scoperta dell’inconscio, che senza di loro non sarebbe stato rivelato.
E sotto questo profilo desidero appunto riproporvi qualche lirica di Saffo (nata a Ereso, in Lesbo, nel 630 a C. e morta a Leucade nel 570 a. C.) e tratti culminanti della tragedia di Sofocle (redatta, molto probabilmente nel 412 a. C.).
SAFFO
Eros ha scosso la mia mente
Eros ha scosso la mia mente
come il vento che giù dal monte
batte sulle querce.
Dolce madre, non posso più tessere la tela
domata nel cuore dall’amore di un giovane:
colpa della soave Afrodite.
Sei giunto, ti bramavo,
hai dato ristoro alla mia anima
bruciante di desiderio.
Ode della gelosia
Ed a me sembra simile a un Dio
L’uomo che ti siede di fronte
E tanto da vicino ti ascolta, mentre parli
Con dolce voce
E amorosamente ridi. Subito
A me balza nel petto il cuore, solo
Che io appena ti veda, e la mia voce
Non ha più suoni,
la lingua mi si spezza ed un sottile
rapido fuoco serpeggia nelle membra.
Più nulla scorgo con occhi,
mi ronzano le orecchie, in me
scende sudore e un tremito tutta
mi scuote. E sono più verde dell’erba,
poco lontana dall’essere morta
……
Ma tutto devi sopportare, povera… (p. 13)
Se solamente…
Se solamente mi toccassi il cuore…
se solamente mettessi la tua bocca sul mio cuore…
la tua bocca sottile…i tuoi denti…..
se mettessi la tua lingua come una freccia rossa…
lì dove il mio cuore polveroso martella…
Se soffiassi nel mio cuore…
vicino al mare…
suonerebbe con un rumore scuro…
come acque vacillanti…
come l’autunno in foglie come sangue…
con un rumore di fiamme umide che bruciano il cielo…..
suonando come sogni…
o rami….
o piogge…
o sirene di un porto triste…
[…]…
qualcuno verrebbe…
qualcuno verrebbe…
Mille considerazioni verrebbe fatto, invero, di formulare, prendendo l’abbrivo da questi versi immortali. Mi limiterò ad esporvi, di corsa, la mia prima convinzione (da sempre): se è vero, che un sentimento esiste solo quando è espresso, codificato, Saffo ha letteralmente inventato, con le sue poesie, l’amore, cioè la rappresentazione dell’amore, nei suoi connotati fisici, corporali, reali. Si consideri che il biblico “Cantico dci cantici”, in cui l’amore tra uomo e donna viene cantato, in termini altrettanto carnali, «non può essere anteriore al IV secolo a. C.»: le poesie di Saffo lo precedono, dunque di due secoli. Basti rileggere:
Sei giunto, ti bramavo,
hai dato ristoro alla mia anima
bruciante di desiderio.
oppure:
se solamente mettessi la tua bocca sul mio cuore…
la tua bocca sottile…i tuoi denti…..
se mettessi la tua lingua come una freccia rossa…
lì dove il mio cuore polveroso martella…
o anche:
Subito
A me balza nel petto il cuore, solo
Che io appena ti veda, e la mia voce
Non ha più suoni,
la lingua mi si spezza ed un sottile
rapido fuoco serpeggia nelle membra.
Più nulla scorgo con occhi,
mi ronzano le orecchie, in me
scende sudore e un tremito tutta
mi scuote.
E passiamo velocemente a Edipo re di Sofocle, e in ispecie al terzo episodio (sono quattro in tutto) della tragedia (composta nel V secolo, probabilmente, come dicevamo, nel 412, a. C.).
SOFOCLE, Edipo Re
NUNZIO. Da Corinto. Ecco, racconto: e può essere festa, per te assurdo, il contrario – ma forse amarezza.
GIOCASTA. Possibile? Ambigua magia… che sarà?
NUNZIO. La corona dell’Istmo! Per lui! La gente dell’Istmo lo vuole sovrano. A gran voce!
GIOCASTA. Che dici? Pòlibo, venerando, non domina più?
NUNZIO. Ah no. Morte lo chiude nella terra.
GIOCASTA. Ripeti! Morto, morto il padre di Edipo!
NUNZIO. Merito morte, non parlassi sincero.
GIOCASTA (a una del seguito). Ragazza, che fai? Non voli da lui, dal re? Raccontagli tutto! O echi misteriosi degli dei! Dove siete? Pòlibo! Da quanto l’evitava, Edipo, nell’incubo d’ucciderlo! Ed ora Pòlibo è nel Nulla: caso naturale. Non ha colpe, lui. [Appare Edipo.]
EDIPO. Giocasta, amore, occhi miei, perché mi chiami sulla strada?
GIOCASTA. Senti quest’uomo. Aguzza gli occhi, intanto, se trovi scopo al quale vanno gli arcigni indovinelli del tuo dio.
EDIPO. Chi è? Che ha, da dirmi?
GIOCASTA. Da Corinto. Ci sta dicendo che tuo padre Pòlibo non è, non è più: è un morto.
EDIPO. Che dici, amico? Rischiarami, con la viva voce. NUNZIO. Se questo devo dire – prima verità – ripeto: Pòlibo è scomparso, è nella morte.
EDIPO. Un attentato? Abbraccio d’una febbre?
NUNZIO. Breve oscillazione reclina vecchie ossa.
EDIPO. Povero vecchio, sfatto da malanni, allora.
NUNZIO. In armonia con la distesa d’anni.
EDIPO. Aaah! E dovremmo esplorare ispirati bracieri d’Apollo, uccelli che stridono nell’aria? Staffette del futuro, quelle? Del futuro mio, compreso l’assassinio mio, del padre? E invece eccolo là, morto, steso sotto terra. Io sono qui. Mai sfiorato un’arma. Forse l’ha disfatto il mio rimpianto. Così, sì, così sarei radice della morte. Ora Pòlibo posa nel Nulla. S’è preso, bagaglio da nulla, le voci traditrici del dio. GIOCASTA. Non te lo dicevo già, da tanto?
EDIPO. Sì, sì. Ma io brancolavo nel terrore.
GIOCASTA. È finita. Cancella da te stesso questa storia.
EDIPO. L’amore con mia madre. Come posso, è un incubo…
GIOCASTA. Angosce, sempre! Ma perché? La vita è preda di coincidenze. Presagio illuminato non esiste. Meglio non avere scopi, vivere come t’è dato. Non farti ossessionare dall’amore con tua madre. L’hanno già fatto in tanti, l’amore con la madre, dentro i sogni. Cose sciocche. Chi non ci fa caso, vive meglio, più leggero.
EDIPO. Tutto vero, tutto bello ciò che dici: se non fosse viva lei che m’ha creato. Ma vive. Devo, stare in ansia. Non ho scelta. Anche se il tuo dire è vero.
GIOCASTA. Ma è occhio sole la fossa del padre.
EDIPO. Sì, di sole. Ma è incubo, lei viva.
C) Da qui, dal dialogo serrato tra Giocasta, il Nunzio ed Edipo, si possono prendere le mosse per evidenziare brevemente la vitalità e la forte incidenza del greco classico nella cultura e nella filosofia moderna, sia per quanto riguarda l’indicibile che qui, per la prima volta, 25 secoli prima di Freud, viene detto («L’hanno già fatto in tanti, l’amore con la madre, dentro i sogni»), sia per quanto riguarda il senso del Nulla come approdo finale della vita e fondamento dell’esistenza, qui enunciato, per la prima volta, nel mondo occidentale: si consideri che il libro di Qohèlet o Ecclesiaste (contenuto nella Bibbia ebraica e cristiana), in cui il Nulla campeggia, fu scritto ad opera di un autore ignoto, in Giudea, «verso la fine del III secolo a.C.»).
E mi sia consentito di considerare ancora una volta (lo faccio, con la stessa convinzione e con a stessa meraviglia di quando ero studente liceale) come, tra il VI e il IV secolo a. C., per chissà quale congiunzione astrale, in Grecia, non solo ad Atene (patria di Socrate e di Platone), ma anche in piccole città greche (Coo, Alicarnasso, Samo, Stagira), si sia concentrato il meglio della cultura occidentale: da qui la Storia e la Geografia (Erodoto), da qui la Poesia (Saffo e i lirici greci), da qui la Medicina (Ippocrate), da qui la Matematica e la Geometria (Pitagora), da qui l’Astronomia (Talete), da qui la Tragedia (Eschilo, Sofocle, Euripide), da qui la Filosofia (Socrate, Platone Aristotetele).
Bastino, dunque, pochi cenni (che ognuno degli studenti potrà sviluppare personalmente) su alcuni dei pensatori moderni, che si sono abbeverati alle fonti inesauribili della cultura e della letteratura greca.
FREUD E IL COMPLESSO DI EDIPO
LEOPARDI E IL NULLA
NIETZSCHE E IL NICHILISMO
HEIDEGGER E L’ESISTENZIALISMO
Umberto GALIMBERTI TRA FILOSOFIA E PSICOANALISI