Nella nostra sonnacchiosa provincia, angosciata, in questi tristi frangenti, dal COVID 19, un positivo segnale di vita è venuto dalla pubblicazione presso Pungitopo di Gioiosa Marea dell’opera omnia di Maria Costa, per la saggia iniziativa dell’editore Lucio Falcone, avallata dal Comitato Direttivo del Centro Studi Maria Costa, di cui è presidente il dott. Lillo Alessandro. Ora, sono finalmente contenute in un unico, degno volume, limpidamente stampato a cura dello stesso Lucio Falcone, con una notevole copertina ideata da Giuseppe Ruggeri, con una introduzione di Sergio Todesco e una prefazione mia, tutte le poesie e tutti i racconti («cunti») siciliani pubblicati, in svariate raccolte, dalla poetessa di Case basse, e praticamente introvabili nelle librerie. Sicché il lettore messinese (e non solo messinese) ha oggi la possibilità di accostarsi, senza difficoltà, alla poesia di Maria Costa, che è – occorre ribadirlo – un vero, imperituro monumento della lingua e dei valori dei pescatori dello Stretto, alternativi al degrado della cultura postmoderna e risolti in forme stilistiche di inusitata bellezza.

È questo – vogliamo sottolinearlo – un sintomo davvero insolito– quasi un miracolo, invero – di spirito costruttivo, collaborativo, in una città in cui prevale purtroppo l’individualismo e gli intellettuali o restano isolati o, più spesso, si dividono in gruppi «l’un contro l’altro armato».

Certo, ogni cosa va sempre contestualizzata e storicizzata: «Il fico non fa pesche». E tali comportamenti divisori, separatistici sono invero conformi al degrado storico, politico, sociale cui la città dello Stretto soggiace, oggettivamente, da molti lustri.

 

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Il ritardo culturale, storico di Messina, rispetto alle altre due città metropolitane dell’isola, si avverte anche nel pressoché totale silenzio intorno all’anniversario sciasciano: come se lo scrittore di Racalmuto fosse uno dei tanti scrittorelli della domenica e non uno dei maggiori scrittori italiani del Novecento.

C’è già un fiorire di eventi, di studi, di pubblicazioni sull’attività letteraria, giornalistica, sociale, politica di Leonardo Sciascia non solo ad Agrigento e a Palermo, città da lui frequentate, ma anche a Catania. E però dispiace che a Messina, dove peraltro lo scrittore stesso s’iscrisse alla Facoltà di Magistero, frequentandola per alcun tempo (senza riuscire a conseguire la laurea), non si muova alcunché.

Da giovane, io ho divorato tutti i libri di Sciascia, che ammiravo per l’impegno sociale, la libertà di pensiero, il rigore del giudizio (pur non condividendone del tutto lo guardo decisamente pessimistico sulla realtà) e soprattutto per lo stile asciutto, immune da ogni forma di bellettrismo, volto a individuare e sfruttare tutte le potenzialità della sintassi, della frase, più che della parola.

Ebbene, io stesso gli ho dedicato, molti anni fa, solo un articoletto, soffermandomi velocemente su quello che considero il suo capolavoro, Il cavaliere e la morte. I mille appunti della monografia che sognavo di pubblicare sono rimasti, purtroppo, nei cassetti della mia scrivania, insieme con quelli di saggi mai portati a compimento: il tempo è davvero tiranno. E pensare che c’è, nell’Accademia, chi pubblica volumi su opere che non ha mai letto: il mio comportamento antitetico forse riequilibra la bilancia.

Ora, dunque, nella mia qualità di fondatore e presidente dell’Associazione culturale “Scillecariddi”, sto organizzando, a Messina, con l’apporto dei miei amici, un convegno, da tenersi, possibilmente, nel mese di ottobre 2021, su “I romanzi esistenziali di Leonardo Sciascia”. Sono graditi contributi e patrocini (non gratuiti, possibilmente).

 

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Nel contesto storico messinese, fatto di luci e ombre, va collocata, ovviamente, anche la principale istituzione culturale della città, cioè l’Università degli Studi.

C’è stata, e c’è, invero, a Messina, l’Università dei veri Maestri, della seria ricerca scientifica, della meritocrazia e della trasparenza, ma ci sono state, e ci sono, purtroppo, le manchevolezze arcinote – e qui accentuate – del sistema, che non vanno tuttavia obliterate, se si vuole che scompaiano.

In breve: accanto a evidenti sintomi di rinnovamento, di impegno reale e proficuo nella dirigenza e nel corpo docente, permangono sacche di albagia sterile, di separatezza dal territorio, nonché casi d’incompetenza e di arretratezza politica e culturale, spesso legati a fenomeni di familismo deteriore e di clientelismo politico o “sentimentale”. Il danno maggiore che si arreca agli studenti (prima che alla città e all’istituzione) è costituito, in questi casi, dalla trasmissione di nozioni sterili e di codificazioni tradizionali, astratte, non aggiornate, distanti dalla fermentante realtà storica, letteraria, politica, sociale, scientifica dei nostri giorni. E non sorprende la scelta di chi, potendo, va a cercare altrove lauree che agevolino l’ingresso immediato nel difficile mondo del lavoro.

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