Capita che anche un modesto scritto di routine abbia le ali per uscire dal recinto per cui è stato redatto. E forse sarebbe ingiusto non secondarne lo slancio.
Mi permetto, perciò, di sintetizzare per il pubblico degli amici di FB, magari drogati da salutini, augurissimi e condoglianze, un mio recente intervento alla “Cerimonia di premiazione delle Eccellenze”, organizzata dall’Istituto Comprensivo “Enzo Drago” di Messina diretto con competenza e lungimiranza dalla Prof.ssa Giusi Scolaro: le eccellenze in oggetto sono quelle degli alunni che hanno partecipato al Progetto “Giochi di Grammatica Italiana”, referente la prof.ssa Carmen Tavilla dello stesso Istituto, classificatisi ai primi posti nelle rispettive categorie.
Il mio intervento mirava, invero, a evidenziare le tecniche e gli obiettivi formativi della scrittura nel triennio della Scuola Secondaria di Primo Grado (la Scuola Media d’antan), ma non è detto che non possa interessare anche agli amici che non sono più adolescenti: purtroppo, molti dati acquisiti in ambito scientifico restano sconosciuti ai più, per inadempienze della scuola o per miopia degli intellettuali.
Tre punti, in particolare, del mio intervento mi sembrano degni di essere divulgati tra i non addetti ai lavori.
- Lo scrivere è un atto innaturale, secondario: naturale (primario) è mangiare, dormire, nonché ogni atto che esiste in natura e si realizza secondo natura. La scrittura è, quindi, un’attività artificiale, secondaria: una tecnica propriamente, una delle tante che l’uomo ha inventato per aiutare, sostenere, puntellare o surrogare la natura. La scrittura quindi si apprende, come tutte le tecniche, con l’esercizio. La musica – suonare il pianoforte – è una tecnica che si apprende, appunto, con l’esercizio: un musicista dedica buona parte della sua giornata all’esercizio. L’esercizio primario della scrittura è lo scrivere. S’impara a scrivere scrivendo, come sapevano bene Corrado Alvaro e Alberto Moravia. Sicché chi più scrive meglio scrive; chi meno scrive peggio scrive. Meditate, meditate.
- Prerequisito indispensabile per scrivere in una lingua è conoscere la lingua, il lessico in primis – cioè le parole – di quella lingua. Ebbene una lingua si apprende ascoltando e/o leggendo: contro tesi vecchie e nuove dell’innatismo (secondo cui certi pattern linguistici sarebbero innati), riteniamo che solo dall’esperienza e dall’esercizio dell’ascolto e della lettura si acquisiscono la lingua e le sue espressioni scritte e orali: si è giustamente rilevato che un giovane cresciuto nei boschi coi lupi non parla, ulula. Se ne deduce, peraltro, che altro esercizio indispensabile per saper scrivere è quello della lettura. Il nesso che lega la lettura alla scrittura è ineludibile: chi non legge o legge poco, scrive male o non scrive. Certo, la conoscenza di una lingua o meglio la competenza linguistica dipende direttamente dalla maggiore o minore ricchezza del bagaglio lessicale di ciascun parlante: il possesso di almeno 2000 parole (delle 7500 che costituiscono il lessico di base dell’Italiano) è considerato fondamentale per una comunicazione decente. Ma pare che oggi i giovani – e non solo i giovani – conoscano e utilizzino solo poche centinaia di parole per la loro asfittica comunicazione, prossima all’afasia. Si sa peraltro che più sono le parole che si conoscono più sono i pensieri che si producono: le parole, in altri termini, figliano pensieri, e non il contrario, come pensano le masse incolte. Ma le parole, come dicevamo, si acquisiscono soprattutto leggendo e prestando orecchio al discorso di persone competenti. Leggendo s’impara anche l’uso della punteggiatura: s’incomincia a sapere scrivere quando si sanno sfruttare tutte le potenzialità dei due punti, quando si sa distinguere tra virgola e punto e virgola, nonché tra punto e virgola e punto fermo. Leggendo s’apprende l’importanza dell’accapo per distinguere un pensiero da un altro, e dei connettivi (peraltro, sicché, giacché, però, difatti, infatti ) per garantire coesione al testo. E non c’è dubbio che, leggendo contribuiamo quantomeno a frenare la mutazione antropologica in corso, che sta traghettando l’homo sapiens, che apprendeva attraverso la lettura, nei territori impervi dell’homo videns (Giovanni Sartori, Cesare Galimberti), che non legge ma vede tutto su internet e quindi non pensa o pensa poco, divenendo passivo, privo di capacita critiche, manipolabile: pronto a inchinarsi al sovranista o populista di turno.
- Ma leggere non basta per scrivere bene. Ogni lingua scritta viene, infatti, regolata, cioè grammaticalizzata: la grammatica nasce infatti dopo la lingua, vi si modella sopra e ne recepisce gli eventuali cambiamenti (l’uso è signore, insieme con la tradizione, nella lingua). E però la correttezza nell’uso di una lingua è esemplata sulla sua grammatica e sul rispetto di essa. La conoscenza della grammatica (per via induttiva, deduttiva e perfino ludica, come nel caso degli allievi della “Enzo Drago”) è quindi imprescindibile e inderogabile per l’espressione scritta e orale di una lingua. Ciò posto, si deduce inoltre, agevolmente, che la correttezza grammaticale prima che a un valore estetico, risponde a un valore comunicativo; talché scrivere correttamente significa, in primis, comunicare meglio il proprio pensiero a chi legge. Insomma, bisogna evitare gli errori di grammatica non per obbedire a un astratto canone di perfezione formale, ma per comunicare meglio il proprio pensiero. Chi opera in tal senso dimostra di scrivere non tanto per sé stesso ma per comunicare con gli altri: è diventato adulto.