Ho sempre espresso chiaramente – senza fronzoli, senza eufemismi, senza compiacimenti narcisistici – il mio punto di vista sui fatti politici di questo ultimo lustro, tenendomi, quanto più possibile, sul terreno della conversazione pacata tra amici.
Ma monta ogni giorno di più la mia indignazione e non posso più sottrarmi all’urgenza, che avverto impellente, di usare la frusta, lo staffile, il bastone o anche il dardo acuminato, di fronte alla spudorata tracotanza del potere.
- Con quale autorità? – potrebbe chiedermi qualcuno.
- Con l’autorità che mi viene dall’essere democratico per natura prima che per cultura (credo di avere cromosomi tanto marinareschi quanto democratici). E quindi per avere sempre seguito, a fronte alta, la via difficile dell’onestà: sono l’unico messinese ad avere vinto una cattedra di professore ordinario di Letteratura Italiana presso l’Università di Messina, rivoluzionando, peraltro, per universale riconoscimento, la critica alfieriana quantomeno. E ciò, senza «servire» (parola-chiave nel contesto), senza portare la borsa ad alcuno, senza cedere, da ordinario, alle sirene del familismo, scontrandomi spesso, invece, con la mentalità retrograda e conservatrice di certi colleghi altolocati, godendo tuttavia del consenso degli studenti tutti e dei colleghi eccellenti, riuscendo sgradito solo ai mediocri, onorando sempre e comunque la mia professione e dando – vivaddio – il mio contributo alla lotta incessante per la trasparenza e la meritocrazia nel mondo accademico e non solo. Basta e avanza, credo.
- Staffile sia, dunque. Ma contro chi?
- Contro i giallo-verdi innanzi tutto: un’anomala diarchia accomunata dalla cialtroneria, dall’incompetenza, dalla faciloneria, dal razzismo strisciante; gente malamente raffazzonata, priva di radici culturali e politiche che non siano quelle – risibili – del comico Grillo (che doveva colpire a destra e a sinistra per far ridere tutti) e quelle del leghismo becero: i democratici veri hanno alle spalle Pericle e la cultura greco-latina, il cristianesimo, l’illuminismo, Marx, Nietzsche, Freud, De Gasperi, Moro, Kennedy, Berlinguer, Keynes, Bobbio, Sartori, quantomeno. Certo, in pochi mesi, i giallo-verdi hanno oggettivamente frenato la ripresa dell’economia italiana, hanno risuscitato i peggiori istinti razzistici della maggiorana della popolazione (inebetita dalle loro miracolistiche promesse), hanno causato la riduzione degli investimenti da parte delle imprese e quindi, la contrazione effettiva dei posti di lavoro. Sic et simpliciter. Questi sono fatti, i fatti. Il resto sono chiacchiere. E questi sciacalli hanno ancora la sfacciataggine di promettere la luna, tentando di nascondere la recessione che rischia di soffocarci.
Ma meriterebbero duri colpi di staffile (metaforico) certi giornalisti che tengono bordone al più dannoso e reazionario governo della repubblica, spacciandolo per l’unico governo progressista possibile: Travaglio, in primis, e i suoi colleghi del “Fatto quotidiano”. Non ci vuole il cervello di Kant per capire che questi signori, provenienti perlopiù dal terreno ampio della sinistra, dovendosi distinguere dalla “Repubblica” e conquistare i lettori (delusi da Renzi e illusi da Di Maio) – per buscarsi la pagnotta insomma –, cantano ogni giorno il peana dei pentastellati in particolare, esibendo, nei talkshow televisivi, sorrisetti da iene ed astratte, false (perché fondate su presupposti sbagliati) idealità democratiche.
Ma dardi acuminati (in senso metaforico) meriterebbero anche certi intellettuali di sinistra – anime belle, narcisi – che, dopo avere subissato di critiche i governi di centrosinistra (che avrebbero tralignato dal verbo veterocomunista), hanno dato credito a questi cialtroni e al loro governo oggettivamente reazionario: il governo più destrorso della repubblica, invero, per chi non ha sugli occhi il prosciutto della ideologia (che è «falsa coscienza» secondo Marx) e/o del narcisismo più spudorato. La loro “visione del mondo” è smentita, peraltro, senza meno, dal fallimento di LEU, da cui si deduce agevolmente che non erano spinti dalle sollecitazioni dell’ultrasinistra coloro che hanno abbandonato il PD il 4 marzo dell’anno scorso.
Perciò, si può affermare, senza sicumera (da chi, come lo scrivente, non ha alcuna tessera politica), che il PD – magari rinvigorito da Zingaretti e arricchito dall’esperienza degli altri suoi campioni – resta il partito capace di dare una sterzata all’economia e alla società italiana per il conseguimento degli obiettivi di pace, lavoro e giustizia sociale, che sono da sempre le stelle polari della sinistra democratica.