Mi pare manchi almeno una categoria d’intellettuali messinesi nella condivisibile antropologia disegnata da Sergio Todesco, il 18 u. s.: quella dei riformisti, che non sono maggioritari in città ma ci sono: io stesso ne ho tracciato un rapido profilo, di recente, recuperando, in un articoletto, l’opposizione pre-sessantottina di Umberto Eco (Apocalittici e integrati) e aggiornandola con quella, post-ideologica, di Integrati e riformisti, per l’appunto.

Ci sono, però, due cose che mi colpiscono particolarmente nella classificazione di Sergio Todesco, che non conosco da vicino, ma che so essere una persona intelligente (sa scrivere) e un cristiano non “da salotto”: I) la totale, a quanto pare, disistima degli intellettuali messinesi, in massa, da parte dello stesso; II) l’aria asfittica, pessimistica che circola nel suo scritto.

Vediamo. Punto I. Se gli intellettuali messinesi sono solo quelli classificati da Todesco (purtroppo esistenti nella città dello Stretto), lui dove si colloca? Evidentemente, fuori dalla mischia: unico e solo intellettuale messinese immugiusepperando.itne dai difetti dell’integrazione, dello sterile rimpianto, dell’erudizione provinciale, della nostalgia, dell’accademismo, del clericalismo, dell’estremismo apocalittico. E mi chiedo: «Ma non siamo a un passo dal narcisismo accademico? È mai possibile che non ci sia almeno uno tra gli amici di Todesco che non rientri nelle tipologie da lui stesso prefigurate»?

Punto II. So bene che, per cambiare lee cose, c’è bisogno di diagnosi anche impietose, ma ho la netta sensazione che, nello scritto di Sergio Todesco, nonostante le attenuazioni (attraverso l’ironia) dell’assunto più censorio che descrittivo, si profili una realtà irredimibile della città: atteggiamento lecito, ovviamente, ma – vorrei dire – poco costruttivo.

E mi sia consentito di ricordare a Todesco – forse cedendo, a mia volta, in vecchiaia, al narcisismo da cui sono stato sempre immune – che c’è a Messina almeno uno (ma chissà quanti altri, grazie a Dio) strano intellettuale, venuto dalle barche del Faro e non dai salotti messinesi (con rispetto parlando) né dalle anticamere dei politici, che è diventato professore ordinario dell’Università, senza portare la borsa ad alcuno, pubblicando decine di libri su autori maggiori e minori della letteratura italiana, rivoluzionando la critica alfieriana (secondo Petronio, Spongano, Bárberi Squarotti, Di Benedetto ecc.), conseguendo il giudizio di «eccellente» nella prima Vqr (2004-2010), trasmettendo saperi e valori (s’insegna quello c he si è) a centinaia, se non migliaia, di studenti, cercando sempre il contatto con la società civile, militando sempre nella sinistra democratica e riformistica, scontrandosi spesso con le logiche di un certo potere accademico e pagandone, talora, di persona, lo scotto.

Vero è, però, che a Messina gli intellettuali, anche quelli riformisti, antiaccademici ecc., fanno parte a sé, tanto che nemmeno si conoscono tra di loro.

Ma, a maggior ragione, non è, forse, preferibile cercare l’accordo, la collaborazione tra i buoni piuttosto che tracciare classificazioni (anche plausibili) dei cattivi?

 

Per comodità del lettore si pubblica l’articolo di Sergio Todesco cui si fa riferimento sopra.

Un’antropologia degli intellettuali messinesi

Chi sono, cosa fanno, perchè lo fanno, con quali risultati. E perchè, alla fine della classificazione, si conclude che a Messina non esiste una società civile degna di questo nome

 

Si ritiene, e non a torto, che i social network – Facebook tra tutti – abbiano prodotto oltre che una straordinaria, e mai prima d’ora verificatasi nella storia, circolazione di messaggi, anche una corrispondente e anch’essa straordinaria circolazione di idee in libertà, fake news, sfoghi personali, invettive, esternazioni non richieste e pressoché ininfluenti su aspetti della sfera familiare e privata che fino a qualche anno fa sarebbe stato impensabile potessero sfuggire al duplice controllo del pudore e del buonsenso.

Tutto ciò ha prodotto un fatto nuovo, la possibilità cioè di cogliere in vivo gli umori, le ubbìe, i quadri di riferimento, gli orizzonti di intere categorie di persone le cui voci era prima pressoché impossibile cogliere nella variegata molteplicità delle loro articolazioni, mancando un’agorà virtuale che tutte, simultaneamente, le rendesse presenti.

Chi negli ultimi anni ha avuto l’opportunità, e la pazienza, di compulsare quotidianamente le straordinarie pagine di Facebook e dei suoi straordinari abitanti, se sarà riuscito a emergere indenne dal cicaleccio fatuo di quelli che non avevano niente da dire, e però lo hanno detto, avrà guadagnato la possibilità di dispiegare uno sguardo complessivo sui paesaggi ideologici che costellano le nostre giornate storiche.

A me è capitato così di farmi un’idea più chiara e distinta sugli intellettuali messinesi. Una realtà sfuggente e magmatica, complessa e assai ardua da decriptare nelle sue declinazioni.

Eppure qualcosa può essere azzardata su questo ceto, avanzando (come qui timidamente mi provo a fare) alcune ipotesi di classificazione.

A Messina esistono e operano:

Gli integrati. Sono quelli che credono di vivere nel migliore dei mondi possibili. La loro occupazione preferita è stare affacciati al loro balcone mentale per vedere come va a finire la storia (di qualunque storia si tratti).

Quelli del Mulino Bianco. Passano la vita a recitare struggenti giaculatorie sulla Messina di un tempo, e non si accorgono (forse non importa loro) della Messina che si potrebbe costruire proiettando in avanti i sogni, piuttosto che vivere dei loro pallidi fantasmi.

Gli eruditi. Sanno tutto di tutte le storie messinesi, conoscono rigo per rigo tutto ciò che Padre Placido Samperi o Edoardo Boner o Gaetano La Corte Cailler hanno scritto. E basta.

I nostalgici. Poco importa di cosa. Che siano il Fascismo, i Borboni, il Sacro Romano Impero o quelli della battaglia di Lepanto, l’importante è rituffarsi quotidianamente nelle glorie passate. (Glorie??!!)

I movimentisti. Sessantottini non pentiti o ragazzotti che nel sessantotto non erano ancora nati. Coltivano bei sogni. Spesso non capiscono molto del territorio in cui vivono.

Gli accademici. Passano da un convegno all’altro e scrivono cose a volte interessanti, che però pochi leggono perché ci mettono le note. Vengono considerati una casta, e di ciò essi traggono spesso compiacimento.

I chiesastici. La loro vita è organizzata adeguandosi al calendario liturgico. Se si parla dei culti mariani i loro occhi si inumidiscono per la commozione. Incontrano però qualche difficoltà nel leggere, e vivere, il Vangelo.

Gli apocalittici. Sono quelli che attendono che un nuovo terremoto giunga a correggere, fatale lavacro, i mali della città.

E qui mi fermo, perché mi sono attirato ormai un buon migliaio di avversioni profonde. Una cosa sola mi pare accomunare tutte queste categorie di intellettuali (e chissà quante altre ancora se ne potrebbero enucleare, con un po’ di applicazione …..). E la cosa che tutti li accomuna è questa: allorquando possono lambire da vicino, anche di sfuggita, la sfera del Potere (che sia di un Gran Maestro, di un Onorevole, di un Sindaco, di un Assessore, di un Presidente o Consigliere di Quartiere, e financo di un Amministratore di Condominio) tutti vengono sopraffatti da un piccolo orgasmo.

Altro aspetto che accomuna queste enclave è di camminare lungo strade parallele, destinate a mai incontrarsi.

E perciò a Messina non esiste una società civile degna di questo nome. 18. 01. 2018.

 Sergio TODESCO

 

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