Ho un motivo – uno solo – per compiacermi dei risultati elettorali in Sicilia: la vittoria clamorosa di Franco De Domenico nel Partito Democratico che ridà ali al mio entusiasmo e mi fa credere che non tutto è perduto.

Ho conosciuto Franco, dapprima, come Direttore Amministrativo dell’Università, ma ho poi scoperto che è, come me, un uomo della Riviera Nord di Messina, un pacioto, uno che è cresciuto di fronte al mare, a contatto con la gente e con i problemi veri della vita, animato, come molti di noi rivieraschi, da un forte impegno sociale e, come molti di noi, desideroso di affermarsi, di vincere la dura battaglia della vita, senza cedere a compromessi, senza speciali sostegni familiari, politici o clientelari: un uomo serio, concreto quanto basta, competente al massimo, un cristiano adulto, convinto e praticante, un autentico democratico di sinistra: più di una speranza, insomma, per tutti quelli che non passano la vita guardandosi l’ombelico, cioè chiusi nel loro corpo, nei loro meschini privilegi, nelle trincee dei loro miserevoli poteri, unicamente intenti al loro «utile particulare»giusepperando.it.

Ho, però, più di un motivo per dolermi del suicidio del Partito Democratico in Sicilia: atteggiandomi a politologo, lo avevo previsto, ma non avrei mai creduto che fosse così catastrofico e che producesse in me tanto dispiacere: non ne abbiamo azzeccata una. E non sarò qui a dare fiato alle diatribe da cortile o da bar che gonfiano i talk show e incantano le anime belle, i polemisti d’accatto o gli estremisti ignoranti e immaturi: ci sono colpe generali e diffuse nel nostro campo. Ma una cosa devo dirla: in un partito democratico, le battaglie si fanno dentro il partito stesso, dove chi vince ha l’obbligo di perseguire gli obiettivi fissati nella fase congressuale e chi perde resta all’opposizione, dando il suo contributo magari, ma operando per diventare maggioranza domani e dirigere il partito a sua volta. Elementare.

Ora, con tutti i limiti che ogni essere umano – e ogni politico – ha, Renzi (sulla cui personalità condivido per filo e per segno tutto quello che Recalcati ha scritto in «La Repubblica», del 17 luglio u. s.), possiede un vantaggio incontestabile rispetto a tutti i suoi antagonisti della sinistra radicale: è stato eletto, qualche mese, con grandissima maggioranza, segretario del Partito Democratico, dai democratici di sinistra. Se gli antagonisti fossero rimasti nel partito a fare le loro battaglie o almeno si fossero presentati alle lezioni regionali in Sicilia con un loro partito ma dentro la coalizione di centrosinistra, gli elettori di sinistra non si sarebbero disgustati o disorientati e non avrebbero regalato i loro voti, come hanno fatto, a Cancellieri (che ha preso più voti della sua lista, laddove Micari ne ha preso meno della sua lista). Non c’è dubbio veruno. Due più due fa quattro.

Hanno preferito fare i becchini – toccando ferro – del Partito Democratico: Incredibile: Bersani becchino del partito che ha contribuito a fondare, che nasce dal sogno di unire le due uniche forze veramente progressiste e di sinistra che questo Paese ha saputo produrre: il partito dei cattolici di sinistra e il partito dei comunisti.

Ma poi: Bersani è Bersani, vivaddio; ma Speranza chi è? Che film ha fatto?

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